Sei stato felice, Giovanni by Giovanni Arpino

Sei stato felice, Giovanni by Giovanni Arpino

autore:Giovanni Arpino
La lingua: ita
Format: epub
editore: minimum fax edizioni
pubblicato: 2018-03-20T16:00:00+00:00


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Eravamo nelle barche vecchie e Mangiabuchi e Mario dormivano. Guardavo il cielo scuro e le stelle sopra il giro del cornicione nette e ferme senza riuscire a prender sonno. La padrona dell’osteria ci aveva affittato le coperte dopo il lavoro di Mangiabuchi sulla piazza di Sturla e dopo la cena di pane e fagioli. Era notte alta e non dormivo, il cortile pieno di buio e silenzio, solo coi fruscii dei gatti e il muovere raro delle barche che gli amici facevano barcollare nel sonno. Il mare appena di là delle case mandava suoni lunghi poi rotti come un vecchio cavallo malato.

Nel pomeriggio Mangiabuchi se ne tornò a dormire dentro la barca e Mario ed io scendemmo fino alla spiaggia dove la sabbia era calda e le pietre lisce e tiepide lungo l’acqua. Poca gente e qualche ombrellone colorato, pochi bambini e una nave al largo. Si fece il bagno poi salimmo oltre l’autostrada verso le colline. Avevamo anche un fiasco di vino e un po’ di pane, io mi promisi di bere poco, perché così debole com’ero mi sarei certamente ubriacato e allora addio affare con Francesco. Oltrepassammo una cava di pietre, poi una lunga fila di donne che scendevano in città con ceste e piccoli mastelli in capo, camminavano diritte e silenziose lungo il bordo della strada. I piedi nudi sollevavano polvere in piccole nuvole che li facevano grigi fino alle caviglie.

S’udì passare un treno e voltandoci potevamo vedere il mare liscio, un piroscafo nella carta grigia e liscia del mare che andava verso est e più vicine e strette le strade con le automobili che si muovevano laggiù in basso e la gente nera a punti che camminava.

Continuammo a salire verso il verde che si intravedeva rilucente tra le case alte e rade, tutte finestre e balconi. Erano anche ville con grandi cancellate e arbusti rampicanti e le rose a macchie oltre i muri e lungo i muri e i cancelli.

Raggiunta la cima della collina con ville silenziose ai fianchi e nessuna più avanti a noi, ci si sentì stanchi e ci sdraiammo, abbandonata la strada, lungo il fosso. Sdraiato, non potevo vedere più i fianchi delle colline coi boschi radi laggiù, e il verde cupo macchiato dal bianco della sabbia e delle curve della strada.

C’era polvere, si sentivano ancora le automobili passare e cambiar marcia oltre la curva, avrei voluto continuare nel verde ma Mario rifiutò. La polvere poi era appena visibile sull’erba alta e i fiori nell’erba e lungo il fosso erano lucidi gialli e belli.

Bevemmo qualche sorso e mentre stendevo le gambe per riposarmi meglio, Mario si alzò sul gomito.

«Forse me ne vado», disse.

«Sì», mi spiaceva dicesse certe cose in quel momento. «Anch’io me ne vado, forse».

«Davvero?»

Non mi credeva. Credeva gli dicessi così per fargli capire che anch’io potevo andarmene in qualche posto se me ne fosse venuta la voglia. Mi dispiaceva non credesse e allora gli raccontai di Francesco e della sera.

«Non farlo», disse; «troppo pericoloso».

«Abbiamo un sacco di debiti e poi io con la padrona dell’albergo, e anche con Olga».



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